DANNI DA INTERVENTO CHIRURGICO – non basta provare la mancanza di consenso informato.
La Costituzione Italiana stabilisce con chiarezza (art. 32) che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Dunque, ogni intervento chirurgico deve essere autorizzato dal paziente.
Per consentire al paziente di decidere se sottoporsi o meno ad un determinato intervento, il medico dovrà fornire in forma scritta sufficienti informative circa (1) le prevedibili conseguenze del trattamento sanitario; (2) il possibile verificarsi di un aggravamento delle condizioni di salute; (3) l’eventuale impegno, in termini di sofferenze, del percorso riabilitativo post operatorio.
Il consenso all’intervento deve essere raccolto dal medico in forma scritta.
Nel caso in cui il modulo di consenso non sia stato sottoscritto dal paziente o nel caso in cui il modulo, pur sottoscritto, non sia idoneo alla propria funzione (ad esempio perché troppo tecnico oppure troppo vago), allora l’intervento chirurgico sarà stato effettuato in assenza di consenso informato.
In questo caso, anche laddove l’intervento chirurgico sia riuscito perfettamente, sussiste comunque, in capo al paziente il diritto al risarcimento del danno da lesione del diritto costituzionale all’autodeterminazione (art. 32 Cost.).
Il risarcimento però, secondo la recente sentenza in commento (qui sotto), spetta esclusivamente nel caso in cui il paziente alleghi e riesca a dimostrare che “una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento”.
Corte di Cassazione, sez. III Civile,
ordinanza 21 settembre – 16 novembre 2020, n. 25875 | Presidente/Relatore Travaglino
Rilevato che:
1. H. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Genova l’Istituto G. e Mo. chiedendo il risarcimento del danno conseguente alla perdita della capacità riproduttiva per effetto di intervento chirurgico per interruzione volontaria di gravidanza in assenza di valido consenso informato. Si costituirono le parti convenute chiedendo il rigetto della domanda. Il Mo. chiamò in causa la propria società assicuratrice. Intervenne volontariamente in giudizio M., coniuge dell’attrice.
2. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Osservò in particolare il Tribunale che, pur essendo stato violato il diritto al consenso informato, la paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l’intervento nel caso di adeguata informazione.
3. Avverso detta sentenza proposero appello H. e M.. Si costituirono le parti appellate chiedendo il rigetto dell’appello. L’Istituto G. propose appello incidentale in relazione all’accertamento di violazione dell’obbligo di adeguata informativa.
4. Con sentenza di data 4 gennaio 2018 la Corte d’appello di Genova rigettò entrambi gli appelli. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che l’isterectomia e l’ovariectomia totale erano state imposte dall’emorragia conseguente all’induzione farmacologica del parto abortivo, scelta quest’ultima corretta sulla base della CTU data la pericolosità dell’intervento chirurgico invocato dalla parte appellante, e che non era stato provato che la H. , se adeguatamente informata, non avrebbe interrotto la gravidanza.
5. Hanno proposto ricorso per cassazione H. e M. sulla base di un motivo. Resiste con controricorso l’Istituto G.G. . È stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Il pubblico ministero ha depositato le conclusioni scritte. È stata presentata memoria.
Considerato che:
1. con il motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 1223, 1226 c.c., artt. 112, 116, 121, 163 e 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente, premesso che la domanda aveva avuto ad oggetto il risarcimento non solo del danno alla salute ma anche del danno alla libertà di autodeterminazione, che il giudice di appello ha sovrapposto, in ordine alla questione del consenso informato, i presupposti del risarcimento del danno alla salute con quelli del risarcimento da lesione del diritto all’autodeterminazione. Aggiungono che, ove ritenuta mancante la prova che la paziente avrebbe rifiutato l’intervento se correttamente informata, il giudice di appello avrebbe potuto tutto al più rigettare la domanda risarcitoria del danno alla salute, ma non negare quella per la lesione al diritto di autodeterminazione.
1.1. Il motivo è infondato. Cass. 11 novembre 2019 n. 28985 ha operato una sistemazione complessiva della giurisprudenza recente di questa Corte in materia di consenso informato. Il Collegio intende dare continuità a tale rilevante precedente. Sulla base della classificazione operata da Cass. n. 28985 del 2019, la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento. Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva, come afferma sempre Cass. n. 28985 del 2019, sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.
Il giudice di merito ha accertato che non vi è prova che la H. , se adeguatamente informata, non avrebbe interrotto la gravidanza, rifiutando così la terapia sanitaria. Trattasi di giudizio di fatto non oggetto di specifica denuncia di vizio motivazionale. A fronte di tale giudizio di fatto, corretto, alla stregua di quanto sopra osservato, è il giudizio di diritto di cui all’impugnata sentenza.
2. Il consolidarsi della giurisprudenza determinante per la definizione della controversia nel corso del giudizio costituisce ragione di compensazione delle spese processuali.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente ove dovuto dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dispone la compensazione delle spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.