LOCAZIONE COMMERCIALE e COVID-19: sospensione del canone di locazione commerciale.
A partire dall’11 marzo 2020, come tutti sappiamo, la quasi totalità delle attività commerciali è stata sospesa su tutto il territorio nazionale.
Chiusura coatta , quindi, ai sensi del DPCM 11.03.2020, per bar, ristoranti, attività commerciali al dettaglio, parrucchieri, barbieri, estetisti, ecc.
Questa disposizione, senza dubbio condivisibile per evidenti ragioni sanitarie, carica però sulle spalle degli imprenditori tutti i costi fissi legati all’attività di impresa: bollette, software, canoni, ecc.
In questo articolo è sotto esame, in particolare, la sorte contratto di locazione commerciale dell’immobile ove viene esercitata l’attività d’impresa.
La questione è la seguente: l’imprenditore è obbligato a pagare il canone pur non potendo alzare la serranda del negozio oppure può sospendere il pagamento?
Ebbene, un possibile argomento giuridico, sul quale l’imprenditore, ad avviso di chi scrive, può fare leva al fine di evitare di consumare ogni riserva economica accantonata pagando i canoni per la locazione di un immobile che deve rimanere chiuso per legge, riposa nelle pieghe dell’art. 1467 del codice civile, il quale si occupa della sopravvenuta eccessiva onerosità del contratto.
Che cos’è l’eccessiva onerosità del contratto?
L’art. 1467 c.c. stabilisce che nei contratti a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata o periodica (categoria nella quale rientra il contratto di locazione) se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto.
Procediamo quindi con ordine:
1) Avvenimenti straordinari ed imprevedibili.
La straordinarietà di un avvenimento è ritenuto un elemento di natura oggettiva, cioè misurabile in base alla sua frequenza, dimensione ed intensità. In questo senso, considerati i tre requisiti appena citati, non pare dubitabile che la recente pandemia (riconosciuta dall’OMS) di Covid-19 e la conseguente chiusura coatta delle attività commerciali su tutto il territorio nazionale rappresenti un avvenimento straordinario.
Si ritiene poi che l’imprevedibilità abbia carattere soggettivo, essendo relativa alla possibilità di prevedere l’avvenimento al momento della stipula del contratto. Anche sulla sussistenza di questo requisito non pare possibile esprimere dubbi.
2) La presupposizione.
Secondo autorevole giurisprudenza, l’istituto giuridico della risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità rappresenterebbe una concreta applicazione della cosiddetta “presupposizione” ( Cass. n. 6631/2006; Cass n. 1914/2004; Cass. n. 1040/1995; Cass n. 4554/1989; Cass. n. 3074/1981; Cass. n. 12235/2007).
La Presupposizione ricorre quando “una determinata situazione di fatto o di diritto (passata presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali come presupposto condizionante il negozio” (cfr. Codice Civile Commentato art. 1467 c.c. – De Jure – Giuffrè).
In pratica, per tornare al tema che ci occupa (quello della locazione commerciale) la teoria della presupposizione ci consente di stabilire che anche se il contratto non lo prevede espressamente, appare ragionevole stabilire che le parti (locatore e conduttore) abbiano ritenuto che la astratta possibilità, dal punto di vista giuridico, di esercitare il commercio rappresentasse una condizione di validità del contratto. Ne fosse, quindi, un presupposto ineliminabile. Più concretamente: le parti non avrebbero mai stipulato una locazione commerciale se il commercio fosse stato vietato.
Ora, a causa della pandemia di Corona Virus e della conseguente legislazione di emergenza, la possibilità di esercitare il commercio è venuta in effetti meno, qualificando così – in applicazione del principio della presupposizione – la causa di risoluzione contrattuale disciplinata dall’art. 1467 c.c., cioè l’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Quali sono le conseguenze dell’eccessiva onerosità?
Qualificatasi una ipotesi di “eccessiva onerosità sopravvenuta” il conduttore ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto.
Il locatore però, per evitare la risoluzione, può offrire di modificare equamente le condizioni del contratto.
Lo schema è il seguente:
1. Prima di tutto il conduttore verifica la sussistenza della sopravvenuta “eccessiva onerosità”.
2. Di conseguenza il conduttore agisce (cioè fa causa al locatore) per ottenere la risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 1467 c.c.
3. il locatore, se interessato a salvare il contratto, può a questo punto offrire di modificare equamente le condizioni del contratto, ad esempio diminuendo l’importo del canone. Tale offerta può essere fatta solo all’interno della causa per risoluzione contrattuale.
NOTA BENE: in caso di risoluzione contrattuale il conduttore potrebbe avere diritto a ricevere dal locatore l’intera indennità di avviamento (18 mensilità ex art. 34 L. 392/1978). Tale indennità è infatti esclusa solo nel caso di risoluzione per inadempimento, che è cosa ben diversa dalla risoluzione ex art. 1467 c.c., la quale interviene a far cessare l’efficacia di un contratto prima dell’inadempimento, in ragione della sopravvenuta eccessività onerosità della prestazione.
Ma il commerciante non vuole risolvere il contratto e nemmeno fare causa!
È vero. Il conduttore, nelle odierne condizioni, non è affatto interessato a risolvere il contratto di locazione, in quanto legittimamente ritiene che prima o poi la chiusura coatta del proprio esercizio commerciale verrà revocata. A quel punto egli desidererà solo riaprire i battenti e rimettersi a fare cassa.
E dunque che fare? Le ipotesi di azione parrebbero essere due: o pagare i canoni nonostante il negozio sia chiuso o chiedere la risoluzione del contratto di locazione ex art. 1467 c.c.! Entrambe scelte che danneggiano il commerciante!
Non disperiamo.
È necessario attribuire grande importanza ad un dato: l’eccessiva onerosità è certamente sussistente, ma verosimilmente non è destinata a durare. Anzi, il divieto di esercitare il commercio ha certamente natura provvisoria. Il DPCM 11.3.2020 in effetti non ha disposto la revoca definitiva di esercitare il commercio ma ha disposto una sua temporanea sospensione!
Il ragionamento ci porta quindi a stabilire che se è vero che il conduttore si trova nelle condizioni previste dall’art. 1467 c.c. per ottenere la risoluzione del contratto (in quanto, se non può esercitare il commercio allora ovviamente viene meno il presupposto della locazione c.d. commerciale stipulata), è anche vero che il locatore, rilevato che l’eccessiva onerosità del contratto verrà meno non appena cesserà il divieto di esercitare il commercio, avrà tutto l’interesse ad offrire una modifica equitativa del contratto – ad esempio sospendendo l’obbligo di pagare il canone (o calmierandone l’importo) per tutto il tempo in cui il negozio deve rimanere chiuso.
Si tratta quindi di formulare al locatore una proposta di modifica contrattuale che conduca agli stessi effetti sopra visti in applicazione dell’art. 1467 c.c. (cioè la modifica equitativa del contenuto del contratto) evitando di adire l’autorità giudiziaria ed innestare così una causa civile vera e propria.
Con la precisazione che il presente articolo ha carattere meramente divulgativo e che non è sostitutivo di un parere legale, che necessariamente dovrà essere formulato tenendo in considerazione le fisiologiche diversità dei singoli casi.
Avv. Matteo Pallanch