COLTIVARE MARIJUANA A CASA – quando è possibile
Il 19 dicembre 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazioni hanno chiarito i confini della illiceità penale della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti.
In particolare le SS.UU. hanno risposto al seguente quesito: perché sia configurabile il reato di “produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope” (art. 73 DPR 309/19990) è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idoneo, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo (non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza), oppure è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato?
In altri termini: per essere penalmente responsabili ex art. 73 TU basta il semplice fatto di aver coltivato marijuana a casa, oppure è necessario che il numero di piante e la qualità delle stesse sia idonea in concreto all’attività di consumo non solo personale (e quindi di spaccio).
In risposta a tale quesito la Suprema Corte, anzi le Sezioni Unite della Suprema Corte, stando alla Informazione Provvisoria n. 27 reperita sul sito giurisprudenzapenale.com, ci dicono quanto segue: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
I principi contenuti nella decisione in esame costituiscono senz’altro una rilevante modifica rispetto al costante orientamento della Suprema Corte, la quale riteneva in buona sostanza che ogni coltivazione di sostanza vietata qualificasse reato.
Certo è che l’apertura mostrata dalla Suprema Corte rischia di essere più teorica che pratica, in quanto – di fatto – risulta piuttosto arduo per il cittadino svolgere con sufficiente grado di certezza una prognosi positiva sul rispetto dei 6 requisiti disegnati dalle Sezioni Unite per escludere la sussistenza del reato.
1) COLTIVAZIONE DI MINIME DIMENSIONI:
Chi può dirsi certo del fatto che la propria “coltivazione” sarà ritenuta di minime dimensioni? Anche una sola pianta, a seconda delle dimensioni, potrebbe qualificare la coltivazione di non minime dimensioni.
2) SVOLTO IN FORMA DOMESTICA:
E se in casa abitano più persone?
3) TECNICHE RUDIMENTALI:
Cosa si intende per “tecniche rudimentali”? Il semplice fertilizzante, ad esempio, esclude la rudimentalità?
4) SCARSO NUMERO DI PIANTE:
Quindi potenzialmente anche più di una?
5) MODESTISSIMO QUANTITATIVO DI PRODOTTO RICAVABILE:
Chi può concretamente dirsi consapevole della effettiva quantità di principio attivo ricavabile dalla propria coltivazione?
6) MANCANZA DI ULTERIORI INDICI DI INSERIMENTO NEL MERCATO DEGLI STUPEFACENTI:
Quest’ultimo è probabilmente l’aspetto che lascia la maggior discrezionalità possibile agli inquirenti. Evidentemente, infatti, tali “indici” non sono tipizzati, ma sono rimessi alla sensibilità del magistrato sulla cui scrivania arriverà il fascicolo d’indagine.
In definitiva, non si può che rilevare una effettiva apertura da parte della Suprema Corte rispetto al rigoroso tenore delle storiche sentenza in tema di coltivazione. Ma si tratta di un’ apertura piccola piccola.
Avv. Matteo Pallanch
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