TRUST: La segregazione è fiscalmente neutra = Niente imposta su successioni e donazioni al momento della costituzione del fondo
La Suprema Corte – sezione tributaria – con sentenza n. 19167 del 2019 conferma che in tema di “trust”, l’imposta sulle successione e donazioni, prevista dall’art. 2, comma 47, del d.l. n. 262 del 2006(conv. con modif. dalla l. n. 286 del 2006) anche per i vincoli di destinazione, è dovuta non al momento della costituzione dell’atto istitutivo o di dotazione patrimoniale, fiscalmente neutri in quanto meramente attuativi degli scopi di segregazione ed apposizione del vincolo, bensì in seguito all’eventuale trasferimento finale del bene al beneficiario, in quanto solo quest’ultimo costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost.
Di seguito, l’elegante ragionamento svolto dalla Suprema Corte per giungere alle dette conclusioni.
Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 17/07/2019), n.19167
(…)
Per quanto concerne le imposte indirette, norma di riferimento è stata considerata – ma con esiti interpretativi molto diversi – il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47 conv. in L. n. 286 del 2006, secondo cui: “E’ istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54″. Rileva anche la L. n. 112 del 2016, art. 6 (c.d. legge del “Dopo di noi”) in base al quale: “I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da vincoli di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali di cui all’art. 1, comma 3, istituiti in favore delle persone con disabilità grave (…) sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi da 47 a 49, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni”
L’amministrazione finanziaria (Circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E e Circolare 6 agosto 2007, n. 48/E) assume che: a) debba considerarsi trust “un rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell’interesse del beneficiario, raggiungimento dello scopo”; b) debbano considerarsi “vincoli di destinazione” “i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi” (Circolare n. 3/E del 2008).”.
Rese queste premesse si osserva che l’incertezza applicativa è data anche dai differenti momenti negoziali nei quali il trust normalmente si articola, a seconda che oggetto di imposizione sia: a) l’atto istitutivo del trust, di natura non traslativa di beni o diritti ma meramente preparatoria, enunciativa e programmatica; b) l’atto di dotazione o provvista del trust, comportante il momentaneo trasferimento del bene o del diritto al trustee in funzione della realizzazione degli obiettivi prefissati e con i vincoli ad essa pertinenti; c) l’atto di trasferimento finale del bene o del diritto al beneficiario, passaggio che in taluni casi, come ad esempio il trust con finalità solutorie, potrebbe non esservi.
Nel trust con effetti solutori, infatti, non vi è un arricchimento dei creditori che pur se indicati come “beneficiari” (come nel caso di specie) ricevono solo ciò che è di loro spettanza, con la liquidazione di una posta attiva che già appartiene al loro patrimonio (il credito).
5.- L’interpretazione di legittimità in materia si è evoluta attraverso il graduale recepimento, favorito anche dall’apporto della dottrina e della giurisprudenza di merito, di soluzioni intermedie e più sfumate, attraverso due posizioni concettualmente distanti tra loro.
La posizione di partenza è fissata dalla seguente massima (Cass. n. 3735/15): “L’atto con il quale il disponente vincoli propri beni al perseguimento della finalità di rafforzare una generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, pur non determinando il trasferimento di beni ad un beneficiario e l’arricchimento di quest’ultimo, nondimeno è fonte di costituzione di un vincolo di destinazione, sicchè resta assoggettato all’imposta prevista dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 47, convertito dalla L. 23 novembre 2006, n. 286, la quale – accomunata per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali – a differenza delle imposte di successione e donazione, che gravano sui trasferimenti di beni e diritti “a causa” della costituzione dei vincoli di destinazione, è istituita direttamente, ed in sè, sulla costituzione del vincolo” (in termini analoghi le successive nn. 3737, 3886, 5322/15). Questa sentenza sposa la tesi dell’immediata tassazione del trust all’atto della segregazione di beni e diritti, senza dover attendere il successivo trasferimento di essi in favore di soggetti beneficiari diversi dall’autore del vincolo funzionale, e riposa sull’asserito rilievo impositivo che sarebbe stato attribuito dal legislatore al vincolo di destinazione, per questi ultimi, con conseguente obbligo di corrispondere l’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, già al momento della segregazione del patrimonio destinato.
La posizione che possiamo definire di arrivo (Cass. n. 1131/19) afferma invece che: a) – “non si può trarre dallo scarno disposto del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, il fondamento normativo di un’autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo, in senso proprio, di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta”; b) – “in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (…), il giudice di appello (…) ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato”; c) – “una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuisce giusto rilievo al fatto che l’imposta prevista dal D.Lgs. n. 346 del 1990 non può che essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”, che il conferimento di beni e diritti in trust non integra di per sè un trasferimento imponibile e, quindi, rappresenta un atto generalmente neutro, che non dà luogo ad un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta”.
Si ritiene che quest’ultima sia la posizione più persuasiva, così da dover essere qui recepita a composizione di un contrasto che può sul punto dirsi, anche in ragione di altre decisioni medio tempore intervenute, ormai soltanto diacronico.
E’ stato osservato (Cass. n. 1131/19 cit.) che: “nell’ambito concettuale dei “vincoli di destinazione” devono essere ricondotti non solo gli “atti di destinazione” di cui all’art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo (…)”. E tuttavia, tale inclusione non basta a giustificare l’imposizione del trust in quanto tale, seguendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme. Ciò perchè la tesi della “nuova imposta” gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sè, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza; con quanto ne consegue, appunto nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ordine alla non ravvisabilità in esso di forza economica e capacità contributiva ex art. 53 Cost..
Ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti impositivi, questa discrezionalità deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza e di non-arbitrio (Corte Cost. n. 4 del 1957 e Corte Cost. n. 83 del 2015), posto che la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese “esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza” (Corte Cost. ord. n. 394 del 2008).
E, in materia, tale indice non prende consistenza prima che il trust abbia completato il suo percorso.
Non può negarsi che l’apposizione del vincolo, in quanto tale, determini per il disponente l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.) in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale; ma, d’altra parte, in assenza di una simile utilità, e dell’interesse ad essa sotteso nel libero esercizio dell’autonomia negoziale delle parti, verrebbe finanche meno lo stesso fondamento causale del trust.
Questa utilità non concreta, di per sè, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee, incremento che si verificherà (eventualmente e in futuro) in capo al beneficiario finale.
Si è inoltre osservato che, vista l’esigenza di un’interpretazione costituzionalmente compatibile, il richiamo ai vincoli di destinazione deve essere riferito all’intendimento del legislatore di evitare “che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni, disciplinata mediante richiamo al già abrogato D.Lgs. n. 346 del 1990 citato, potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie tutto sommato di “recente” introduzione come quella dei “vincoli di destinazione, e quindi per niente affatto presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” D.Lgs. n. 346 del 1990 citato.” (Cass.n. 21614/16, cit).
Il che equivale ad affermare che la menzione legislativa del vincolo di destinazione, accanto a donazioni ed atti a titolo gratuito, si limita a precisare che l’imposta (quella di donazione) deve essere applicata anche quando l’incremento patrimoniale a titolo liberale sia indirettamente realizzato attraverso un “vincolo di destinazione”.
In definitiva, la strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica, nei termini indicati, la fiscale neutralità.
6.- La complessità del problema deriva anche dal fatto che il trust è istituto multiforme.
E tuttavia, l’orientamento al quale questa corte di legittimità è da ultimo pervenuta (Cass.n. 1131/19 cit.) è in grado di dare conto di tale aspetto, apprestando una soluzione che – opportunamente valorizzando l’elemento essenziale sempre causalmente costituito, come detto, dal collegamento di segregazione e destinazione deve ritenersi estensibile a tutte le diverse forme di manifestazione.
Dunque, in ogni tipologia di trust l’imposta proporzionale non andrà anticipata nè all’atto istitutivo nè a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario.
Si può qui osservare che, il fatto che il beneficiario sia individuato fin dall’atto istitutivo non comporta di per sè necessaria deviazione dal tipo negoziale del trust e, soprattutto, non pare giustificare l’immediata tassazione proporzionale, dal momento che la sola designazione, per quanto contestuale e palese (c.d. trust “trasparente”), non equivale in alcun modo a trasferimento immediato e definitivo del bene, con quanto ne consegue in ordine all’applicazione dei già richiamati principi impositivi.
Anche questa fattispecie può dunque rientrare nel delineato sistema di imposizione proporzionale eventuale e differita.
Quanto al trust solvendi causa, non si dubita della effettività del trasferimento al trustee dei beni da liquidare, ma ciò non esclude che – anche in tal caso – sia connaturato al trust che tale trasferimento sia mero veicolo tanto dell’effetto di segregazione quanto di quello di destinazione. Ancora una volta, dunque, si tratterà di individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti, non potendo assurgere ad espressione di ricchezza imponibile nè l’assegnazione-dotazione di taluni beni alla liquidazione del trustee in funzione solutoria e nemmeno, in tal caso, la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti.
In entrambe le ipotesi, poi, non è inutile osservare come, qualora sia davvero individuabile un effetto traslativo immediato propriamente detto – perchè realizzato in via diretta e senza alcuna volontà di segregazione/destinazione – sembri addirittura dubitabile la stessa ravvisabilità in concreto della causa negoziale di trust.
Nel qual caso, non è più un problema di fiscalità del trust quanto, se mai, di attribuzione all’atto della sua più appropriata qualificazione secondo intrinseca natura ed effetti giuridici; perchè non è in discussione che, come i “creditori comuni” possono allontanare da sè gli effetti di un trust solo apparente e rispondente a finalità deviate (proponendo azione di simulazione o revocatoria), così il “creditore fisco” è ammesso a far prevalere la “sostanza sulla forma” mediante disconoscimento degli effetti dell’atto previa sua riqualificazione D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20 o, al limite, contestazione di abuso/elusione L. n. 212 del 2000, ex art. 10 bis.
In definitiva, deve qui affermarsi che: a) la costituzione del vincolo di destinazione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv.in L. n. 286 del 2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione; b) per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale; c) nel trust, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile nè nell’atto istitutivo nè nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo.
In sintesi, non potendosi riscontrare -per le ragioni sopra esposte-un trasferimento di ricchezza nell’atto di dotazione di beni in un trust solvendi causa, quale quello in esame e non potendosi individuare, come pretende la ricorrente, il presupposto di imposta nella semplice apposizione del vincolo, il ricorso è da rigettare.
Rilevato che la giurisprudenza di legittimità si è progressivamente consolidata nel senso oggi affermato, le spese del giudizio di cassazione si compensano interamente tra le parti.