L’abbandono del tetto coniugale è una violazione dei doveri coniugali ma non giustifica l’addebito della separazione.
I diritti ed i doveri reciproci dei coniugi, secondo l’art. 143 del codice civile, sono i seguenti:
1) fedeltà
2) assistenza morale e materiale
3) collaborazione nell’interesse della famiglia
4) coabitazione
La violazione di uno di questi doveri potrebbe certamente comportare l’insorgere del presupposto giuridico della separazione, e cioè la c.d. intollerabilità della convivenza coniugale.
In questo caso il giudice – su richiesta di uno dei coniugi – potrebbe pronunciare l’addebito della separazione a carico del coniuge che, a causa della violazione di uno o più dei doveri coniugali, abbia causato la separazione. A carico, cioè, di quel coniuge che abbia causato l’intollerabilità della convivenza.
L’addebito della separazione comporta le seguenti conseguenze:
1) condanna al pagamento delle spese del giudizio di separazione
2) perdita del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento
3) perdita dei diritti successori rispetto al patrimonio del coniuge (senza addebito il coniuge separato rimane un erede legittimario fino alla pronuncia di divorzio)
La sentenza in commento, a tal proposito, ribadisce un concetto molto importante: non basta la violazione di uno dei doveri coniugali per vedersi addebitare la separazione.
È invece necessario, per la pronuncia di addebito, che tra la violazione del dovere coniugale (es. quello di coabitazione) e l’intollerabilità della convivenza sussista il c.d. nesso di causalità.
Se infatti l’intollerabilità della convivenza è già conclamata, allora la successiva violazione, ad esempio, del dovere di coabitazione non comporterà di certo l’addebito della separazione. In questo caso, infatti, il presupposto giuridico della separazione (cioè l’intollerabilità della convivenza) non sarebbe causato dall’uscita di casa di un coniuge, ma da altro fatto precedente.
Attenzione però: nella causa di separazione – se sorpresi da una domanda di addebito per la violazione di doveri coniugali – sarà opportuno produrre in giudizio la prova del fatto che la c.d. affectio coniugalis era già venuta meno in un momento anteriore all’uscita di casa o al passaggio a nuova relazione.
estratto da:
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 9 luglio – 18 settembre 2019, n. 23284
Come già è stato affermato da questa Corte la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito (Cass. n. 18074/2014; Cass. n. 4550/2011). In tema di onere della prova, questa Corte ha affermato che grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza degli obblighi nascenti dal matrimonio, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione (ex multis, Cass. n. 14591/2019, Cass. n. 3923/2018).
Tanto premesso, va tuttavia rimarcato che l’onere della prova si connota in maniera specifica ed autonoma in relazione alla dedotta violazione degli obblighi ed al nesso di causalità.
Quanto al primo profilo, alla stregua dei principi richiamati, va affermato che nel caso in cui sia dedotta la violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, la prova dell’avvenuto allontanamento dal domicilio coniugale, a cura del coniuge che lo denuncia, è sufficiente ad integrare la fattispecie ai sensi dell’art. 146 c.c., comma 1, a meno che il coniuge che si è allontanato non provi che ciò sia avvenuto per giusta causa.
Pertanto, correttamente la Corte di appello, stante il carattere incontestato dell’allontanamento denunciato, ha ritenuto sussistere la violazione del dovere coniugale da parte del G. , sulla considerazione che questi aveva sostenuto che alla data del suo allontanamento la crisi coniugale era già scoppiata e che l’allontanamento era una conseguenza dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, senza tuttavia fornire alcuna prova di ciò che aveva prospettato come “giusta causa”, ma affermandolo solo labialmente (fol. 4 della sentenza): tale statuizione non risulta nemmeno impugnata, tale non potendosi ritenere l’affermazione contenuta in ricorso, secondo la quale dagli atti sarebbe emerso che la crisi coniugale era da ascrivere a differenze caratteriali, attesa la assoluta genericità e mancanza di specificità della stessa (fol. 6 del ricorso).
Passando all’esame del profilo probatorio concernente il nesso di causalità, va confermato che, anche in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (cfr. Cass. n. 14591/2019, Cass. n. 3923/2018, Cass. n. 3194/2017, Cass. n. 19328/2015), tuttavia nulla osta a che tale prova sia anche di tipo logico o presuntivo.