Avvocato Pallanch

DANNO DA PERDITA PARENTALE: Non c’è differenza tra coniuge e convivente more uxorio, almeno secondo le Tabelle milanesi.

Da alcuni anni le Tabelle adottate dal Tribunale di Milano per la quantificazione del danno non patrimoniale – in questo caso parliamo di danno da perdita del congiunto – rappresentano un parametro nazionale (e non meneghino) per la liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. (valutazione equitativa del danno).

Tali tabelle, da anni ormai, equiparano la posizione del superstite coniugato rispetto a quella del semplice convivente more uxorio.

Con il termine more uxorio, ci si riferisce a quel rapporto di convivenza dotato dei caratteri di stabilità e intensità affettiva assimilabili a un rapporto di natura matrimoniale.

Ebbene, nel caso di perdita del coniuge o di perdita del convivente more uxorio, lo sconvolgimento della vita è, secondo le tabelle, di entità equiparabile.

Il provvedimento in commento, nel confermare tale orientamento, cassa la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva mal applicato le tabelle meneghine, liquidando al convivente superstite un danno dimezzato rispetto a quello previsto per il coniuge.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 14 febbraio – 29 maggio 2019, n. 14746

Il fatto:

con sentenza resa in data 4/7/2017, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto da C. , e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Generali Italia s.p.a. al risarcimento, in favore della C. , dei danni da quest’ultima subiti a seguito del sinistro stradale dedotto in giudizio, in occasione del quale aveva perso la vita il proprio convivente more uxorio, S. ;
che, con la medesima sentenza, la corte d’appello ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato le domande proposte da F. e M. (entrambi figli di C. ) per la condanna dei responsabili al risarcimento, in loro favore, dei danni agli stessi derivati dalla perdita del rapporto affettivo con il convivente della madre;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come fosse stata raggiunta la prova dell’effettiva sussistenza di un rapporto di convivenza, tra il S. e C.. , dotato dei caratteri di stabilità e intensità affettiva assimilabili a un rapporto di natura matrimoniale, sì da giustificare il riconoscimento, in favore della F. , del risarcimento dei danni dalla stessa sofferti nella misura liquidata;
che, sotto altro profilo, il giudice d’appello ha escluso che fosse stata raggiunta una prova sufficiente o adeguata di un rapporto di stabilità e di intensità affettiva di uguale natura tra il S. e i due figli della F. , sì da escludere la riconoscibilità, in loro favore, del risarcimento del danno dagli stessi invocato;
che, avverso la sentenza d’appello, E.L. , quale procuratore speciale di C. , F. e M. , propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
che la Generali Italia s.p.a. resiste con controricorso;
che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis, le parti hanno presentato memoria.

Considerato che:

con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2043, 2059, 1226 c.c. e degli artt. 3 e 29 Cost., nonché del principio dell’integrale risarcimento del danno ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale illegittimamente liquidato, in favore di C. , un importo a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto con il convivente more uxorio in misura ingiustificatamente penalizzante rispetto al parametro costituito dalla misura ordinariamente seguita per la liquidazione del danno da perdita del rapporto coniugale, sulla base di una motivazione del tutto priva di fondamento logico-giuridico;
che il motivo è manifestamente fondato sulla base delle considerazioni che seguono, non adeguatamente o decisivamente confutate dalle argomentazioni illustrate dalla Generali Italia s.p.a. nella memoria da ultimo depositata;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, le c.d. tabelle del Tribunale di Milano assumono rilievo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona; ne consegue che la loro erronea applicazione da parte del giudice dà luogo ad una violazione di legge, censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Sez. 3, Sentenza n. 4447 del 25/02/2014, Rv. 630336 – 01);
che, inoltre, qualora il giudice, al fine di soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle c.d. tabelle predisposte dal Tribunale di Milano è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subito da ciascun danneggiato (Sez. 3, Sentenza n. 9231 del 17/04/2013, Rv. 626003 – 01);
che, nel caso di specie, il giudice a quo, pur dichiarando espressamente di volersi uniformare (nella liquidazione del danno subito da C. ) alle misure di liquidazione previste dalle tabelle predisposte presso il Tribunale di Milano, ha tuttavia determinato, in favore della convivente del defunto, un importo pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare, giustificando tale determinazione in ragione del ritenuto normale consolidamento dei rapporti di affetto e di condivisione, nell’ambito delle convivenze di fatto, “in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio”;
che tale giustificazione, nella misura risulta fondata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio (non potendo ascriversi alcun riconoscibile significato all’anodino e non meglio articolato riferimento alla “particolarità della situazione relativa ai rapporti intessuti dal defunto con la sua compagna”: cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), risulta lesiva degli stessi criteri adottati nelle c.d. “tabelle di Milano” utilizzate a fondamento della liquidazione operata, attesa l’espressa completa equiparazione (contenuta in dette tabelle) tra convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio;
che, pertanto, la decisione impugnata, nel porsi in contrasto con la norma di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., risulta lesiva del principio formalmente affermato da questa Corte ai sensi del quale, in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti da dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate (Sez. 3, Sentenza n. 3505 del 23/02/2016, Rv. 638919 – 01; v. altresì Sez. 3 -, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017, Rv. 645503 – 01);

(…)

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.