COLPO DI FRUSTA: RISARCIMENTO ANCHE SENZA RADIOGRAFIA!
La legge, da qualche anno a questa parte, prevede che le assicurazioni, in caso di sinistro conseguente alla circolazione di veicoli a motore e/o di natanti, non paghino più il risarcimento del danno biologico permanente “di lieve entità” – cioè quello che consiste in una invalidità pari al massimo al 9% (es. il classico “colpo di frusta”) – se il danno biologico non viene certificato con un “accertamento clinico strumentale obiettivo”.
Tale disposizione, nata semplicemente per limitare le frodi assicurative, è stata però sovente applicata dai Tribunali prevalentemente nel senso di escludere in radice il risarcimento del danno da invalidità permanente (in gergo “IP micropermanenti”) per quegli utenti della strada, vittime di sinistro con lesione all’integrità psico fisica non superiore al 9 %, che non siano stati in grado di offrire prova del danno biologico attraverso un “accertamento strumentale”, per tale intendendosi esclusivamente una radiografia, una ecografia o altro accertamento elaborato da una strumentazione medico – diagnostica.
La sentenza in commento consolida un principio – che ha iniziato a farsi strada a partire dal 2018 – tanto atteso da chi, come il sottoscritto, avvertiva come una profonda ingiustizia l’applicazione che certa giurisprudenza faceva della citata disposizione di legge.
In poche parole la Cassazione ha ribadito come la legge non ponga alcun limite formale ai mezzi di diagnosi. Per “accertamento clinico strumentale” quindi non deve intendersi esclusivamente una radiografia, una TAC o un’ecografia, ma qualunque strumento, mezzo o tecnica che sia scientifica, che sia in grado di accertare con criterio scientifico la sussistenza e l’entità del danno biologico permanente. Risulta quindi idonea anche una perizia medica specialistica.
La sentenza ci dice, in particolare, che “l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza”.
Qualche nozione utile prima di leggere la sentenza:
Cos’è un danno biologico?
La definizione che in genere è offerta è la seguente: menomazione dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale.
Lo stesso d.lgs. 209/2005, all’art. 139, comma 2, ne offre una definizione: “(…) per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacita’ di produrre reddito”.
Cos’è un danno biologico permanente?
In materia di responsabilità civile, il danno biologico da invalidità permanente consiste nelle ripercussioni negative (di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica) della permanente lesione dell’integrità psico – fisica del soggetto leso per l’intera durata della sua vita residua, normalmente presunta ma che è invece nota se sopraggiunga la morte. (così in Cass. Civ. n. 2775 del 24.02.3003)
In caso di sinistro tra veicoli/natanti, cosa dice la legge?
L’art. 139 del d.lgs. 209/2005 si occupa di stabilire i criteri e le misure della liquidazione del danno biologico per lesioni di lieve entità.
Nella sua versione originaria, si limitava a stabilire i criteri per la liquidazione del danno micropermanente (consistenti in una tabella che considera età del danneggiato e entità della lesione in una scala da 1% a 9%) e del danno temporaneo (€ 39,37 per ogni giorno di invalidità temporanea totale).
Cosa è cambiato dopo il 2012?
Al fine di limitare le supposte truffe assicurative e di comprimere la spesa pubblica per i risarcimenti da sinistri automobilistici, il governo Monti ha emesso il D.L. n. 1/2012 (convertito il L. 27/2012), il quale all’art. 32, comma 3 ter recita: “Al comma 2 dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente“.
L’art. 32, comma 3 quater, del citato decreto legge, in particolare, specificava che “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e’ risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.
Successivamente, ulteriori interventi legislativi hanno modificato l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 139, che oggi si presenta così: In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.
Il sopra citato comma 3 quater dell’art. 32 D.L. 1/2012 è oggi abrogato.
estratto da:
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 settembre 2018 – 18 aprile 2019, n. 10816
Fatti di causa
1. Le società Reale Mutua di Assicurazioni S.p.a. e Vittoria Assicurazioni S.p.a. (d’ora in poi, rispettivamente, “Reale Mutua” e “Vittoria Assicurazioni”) ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Rimini n. 257/16, del 19 febbraio 2016, che – accogliendo solo parzialmente il gravame esperito dalle odierne ricorrenti – ha condannato, in solido, la Reale Mutua ed Y a pagare a X l’importo di Euro ——– a titolo di risarcimento del danno alla persona dallo stesso subito in occasione del sinistro stradale occorsogli, in (omissis).
2. Riferiscono, in punto di fatto, le ricorrenti che il predetto X – con citazione notificata il 21 dicembre 2012 – conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di pace riminese, Y. e la Reale Mutua. In particolare, l’attore chiedeva di essere risarcito – dal Y, in qualità di proprietario e conducente del veicolo che aveva tamponato il suo nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio descritte, dalla Reale Mutua, invece, quale assicuratrice “RCA” del veicolo tamponante – del danno patrimoniale da fermo tecnico cagionato alla sua vettura e (ciò che qui interessa) del danno non patrimoniale da lesioni personali micropermanenti, riportate all’esito del sinistro.
Nella contumacia del Y, si costituiva in giudizio la Reale Mutua, in persona del rappresentante volontario società Vittoria Assicurazioni (peraltro, assicuratrice “RCA” del veicolo del X), contestando, non la dinamica del sinistro, ma la sussistenza della lesione al rachide cervicale lamentata dall’attore, deducendo la mancanza di un accertamento “clinico strumentale obiettivo” della stessa, come richiesto dall’art. 139, comma 2, cod. assicurazioni.
Disposta CTU medico-legale, la stessa attestava la sussistenza quale conseguenza del sinistro – di una lesione permanente, i cui postumi invalidanti venivano stimati nel 2 %, consistente nella “succussione rachide cervicale e lombare esitata in algodisfunzionalità dei suddetti distretti”, condannando solidalmente Y e la Reale mutua a risarcire, oltre al danno da fermo tecnico del veicolo incidentato, il danno biologico subito da X per invalidità temporanea e per invalidità permanente (stimati, rispettivamente, in Euro — e in Euro ——–), oltre al danno morale, calcolato nella misura del 30% del danno biologico.
Esperito gravame da Reale Mutua e da Vittoria Assicurazioni, lo stesso veniva accolto solo in relazione alla disposta condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale da “fermo tecnico” del veicolo, essendo, per la restante parte, confermata la sentenza del primo giudice, con condanna, dunque, della Reale Mutua e del X a corrispondere al Y l’importo di Euro ——, oltre interessi e rivalutazione.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Rimini hanno proposto ricorso Reale Mutua e Vittoria Assicurazioni, svolgendo tre motivi, il terzo, peraltro, subordinatamente al rigetto dei primi due.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si ipotizza falsa applicazione dell’art. 139, comma 2, cod. assicurazioni, come modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 32, commi 3-ter e 3-quater, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 2012, n. 27.
Si censura la sentenza impugnata laddove essa – disattendendo uno specifico motivo di appello, proposto dalle odierne ricorrenti – ha ritenuto risarcibile il danno biologico da invalidità permanente anche quando i “postumi non siano “visibili” ovvero non siano suscettibili di accertamenti “strumentali” a condizione che l’esistenza di essi possa affermarsi sulla base di un’ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico-legale”.
Ritengono i ricorrenti che la sentenza impugnata sia incorsa in un errore di sussunzione, avendo individuato correttamente le disposizioni destinate a regolare la fattispecie sostanziale (D.L. n. 1 del 2012, art. 32, commi 1ter e 3-quater), ricostruendo, però, il loro portato precettivo “in modo del tutto erroneo, in contrasto con il loro dato testuale”, nonché con “la ratio a queste sottesa”.
Si assume come il predetto comma 3-quater abbia introdotto “una vera e propria condizione di risarcibilità del danno biologico lieve, condizione integrata dal riscontro medico legale dell’accertamento della lesione”, esigendo, in particolare, che questa “risulti visibilmente o strumentalmente accertata”; si tratterebbe, dunque, di una “regola generale in materia di lesioni di lieve entità”, applicabile a prescindere dal fatto che esse siano “temporanee ovvero permanenti”. Per contro, il precedente comma 3-ter avrebbe dettato una regola speciale per i soli danni permanenti, consentendone il risarcimento solo quando le lesioni di lieve entità siano “suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”.
Raccordando le due disposizioni si dovrebbe concludere che “in nessun caso” un danno lieve alla persona “potrà dar luogo al risarcimento per postumi permanenti in mancanza di reperti documentali strumentali in grado di obiettivare la lesione al momento del sinistro”.
Questa interpretazione risulterebbe, peraltro, avallata dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate Corte Cost. sent. n. 235 del 2014 e ord. n. 242 del 2015), secondo cui le disposizioni in esame comportano per le lesioni personali di lieve entità, rispettivamente, “la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto diagnostico, cioè per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente”, ovvero la semplice “possibilità anche di un mero riscontro visivo da parte del medico legale, per la risarcibilità del danno da invalidità temporanea”.
Siffatta opzione ermeneutica troverebbe conforto, oltre che nella lettera della legge, nella sua “ratio”, visto che lo scopo del D.L. n. 1 del 2012 – nell’operare un intervento di liberalizzazione nel settore di mercato dell’assicurazione “RCA” – sarebbe stato quello “di garantire un accesso alle coperture obbligatorie a condizioni di premio sostenibili”. Obiettivo perseguito, infatti, attraverso interventi diretti “non solo a stimolare una più libera concorrenza tra le imprese ma anche ad abbattere direttamente taluni fattori impropri di costo che da tempo impattano negativamente sulla (dis)economia del sistema assicurativo”, quali, in particolare, le frodi assicurative.
Né, d’altra parte, la messa al bando di “una certa “industria” del sinistro” – scopo che il legislatore avrebbe perseguito ancorando la valutazione medico-legale delle lesioni micro-permanenti a “rigidissimi criteri selettivi”, i quali “nulla abbiano a che vedere con quanto provenga in via esclusiva dalla sfera del paziente” costituirebbe “un’inaccettabile compromissione del diritto inviolabile alla salute di cui all’art. 32 Cost.”. Per un verso, infatti, come chiarito dalla Corte costituzionale (attraverso il primo dei due già citati arresti), nella materia dell’infortunistica stradale “l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”; per altro verso, poi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (è citata Cass. Sez. Un., sent. 11 novembre 2008, n. 26792), il pregiudizio non patrimoniale risarcibile è sottoposto al “filtro della “serietà” del danno”, la cui determinazione, oltre che da parte del giudice, può essere rimessa allo stesso legislatore.
3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – deduce “nullità della sentenza per violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c., comma 1, ultima parte”, e, comunque, “falsa applicazione” della medesima disposizione.
Si censura quel passaggio della sentenza impugnata – ritenuta una “ratio decidendi” idonea a reggere in via alternativa il dispositivo di condanna a carico delle odierne ricorrenti – secondo cui l’allora parte appellante “non contesta affatto la sussistenza del trauma al rachide cervicale, ma ne contesta la risarcibilità sulla base di considerazioni giuridiche”.
Assumono le ricorrenti che, sin dal primo atto difensivo, la loro posizione “è stata nettissima nel negare in radice la sussistenza di una qualche lesione al rachide cervicale”, risultando, pertanto, falsa la circostanza (che, in quanto “fatto processuale”, risulterebbe direttamente accertabile anche da questa Corte) della mancata contestazione della lesione, facendosi da ciò erroneamente discendere l’effetto giuridico di ritenere la stessa provata. Il tutto, poi, non senza tacere che l’onere di contestazione vigente nel nostro ordinamento non si riferisce a qualsiasi fatto allegato, bensì solo a quelli comuni alle parti o, comunque, a quelli conoscibili dalla controparte.
(…)
4. Ha proposto controricorso Y, per chiedere il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Preliminarmente viene eccepita l’inammissibilità del ricorso ai sensi degli artt. 360-bis e 366-bis c.p.c., per essersi la sentenza impugnata uniformata ai principi enunciati, in materia, da questa Corte (è citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773), ovvero perché ogni singolo motivo non si conclude con la formulazione di uno specifico quesito di diritto.
(…)
Infine, si assume l’infondatezza di ciascun motivo di ricorso.
Quanto, in particolare, al primo – non senza qualificare come semplici “obiter dicta” le affermazioni compiute nei due citati provvedimenti della Corte costituzionale, come tali non vincolanti per il giudice della nomofilachia – si assume che il citato comma 3-quater del D.L. n. 1 del 2012, art. 32 si riferirebbe, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, a tutti i danni alla persona e non ai soli danni da invalidità temporanea.
Si assume, invero, che la diversa interpretazione propugnata dalle ricorrenti porrebbe problemi di costituzionalità, in relazione, innanzitutto, alla violazione del diritto alla difesa, gravando la vittima di lesioni micropermanenti di una prova impossibile in tutti i casi in cui manchi in medicina un accertamento strumentale per un determinato traumatismo. Inoltre, introducendo – per le sole lesioni micropermanenti – un elemento “eccentrico” nel sistema della responsabilità civile, siffatta ermeneusi comporterebbe la trasformazione del risarcimento in un indennizzo. Il tutto, poi, senza tacere della dubbia compatibilità con l’art. 77 Cost. giacché, interpretando le norme suddette, inserite solo in sede di conversione del D.L. n. 1 del 2012, nel senso indicato dalle ricorrenti, ben difficilmente il loro scopo – che risulterebbe quello di limitare i risarcimenti – potrebbe ritenersi compatibile con la “ratio” sottesa alle norme originarie del decreto-legge, ovvero quella di contrastare e reprimere le frodi assicurative.
D’altra parte, dubbia risulterebbe la compatibilità dell’interpretazione proposta dai ricorrenti con il diritto comunitario che, in materia di danni da sinistri stradali, vieta l’apposizione di franchigie ai risarcimenti per i danni fisici (è citata CGUE del 23 gennaio 2014, in C-371/12).
Non a caso, dunque, la migliore dottrina – e con essa anche la giurisprudenza, ivi compresa quella di legittimità (è citata, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773) sarebbe pervenuta alla conclusione che gli “accertamenti clinico strumentali” di cui al comma 3-ter coinciderebbero con il “riscontro visivo o strumentale” di cui al successivo comma 3-quater, sicché la legge non avrebbe posto alcun limite ai mezzi di diagnosi, con la conseguenza che qualunque strumento, mezzo o tecnica di accertamento del danno sarebbe consentito, a condizione che soddisfi il requisito della scientificità.
(…)
Ragioni della decisione
6. In via preliminare, vanno disattese le eccezioni preliminari sollevate dal
controricorrente.
6.1. In relazione, in particolare, a quelle di inammissibilità del ricorso
(…)
7. Ciò premesso, il ricorso è fondato, sebbene solo in relazione al suo terzo motivo (peraltro, proposto subordinatamente ai primi due).
7.1. Il primo motivo, infatti, non è fondato.
7.1.1. Questa Corte ha già avuto modo di osservare che il D.L. n. 1 del 2012, art. 32, comma 3-quater, così come il precedente comma 3-ter, “sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, nè unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773, Rv. 642106-01).
Si aggiunga, poi, che questa Corte – di recente – ha chiarito che “la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento”, precisando, però, che il “rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”. Infatti, “l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 2018, n. 1272, Rv. 647581-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 6-3, ord. 4 luglio 2018, n. 17444, non massimata).
Occorre, pertanto, qui nuovamente ribadire che “ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell’invalidità permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3., ord. 11 settembre 2018, n. 22066, Rv. 650616-01).
7.1.2. Orbene, siffatti principi sono stati rispettati dalla sentenza impugnata.
Essa, per vero, non ha solo affermato la possibilità di risarcire postumi di invalidità che, pur non suscettibili di accertamenti strumentali, risultino, tuttavia, riscontrabili “sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico-legale”, ma ha pure evidenziato come, nel caso di specie, all’esito dell’espletata CTU, si fosse giunti “all’affermazione dell’esistenza del danno” e a una “sua valutazione” sulla “base di una verifica obiettiva svoltasi nel contraddittorio di tutte le parti e i consulenti, senza lasciare spazio a facili narrazioni e/o simulazioni da parte della vittima”. Ciò che dimostra come, anche nella presente fattispecie, sia stato osservato il “modus operandi” richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte e che implica l’esistenza di un “rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità”, senza esigere, però, che “la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”.
(…)
7.2. Il secondo motivo è inammissibile.
(…)
7.3. Il terzo motivo è, invece, fondato.
P.Q.M.
La Corte accogli il terzo motivo di ricorso, rigettando il primo e il secondo, e, per l’effetto, cassa parzialmente la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale di Rimini, in diversa composizione, perché decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese processuale anche del presente giudizio.